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Ufficio minimal

MEDIAZIONE E IMPRESA


La riflessione sull’importanza dei valori in gioco nei rapporti di durata commerciali, ha messo in seria discussione l’adeguatezza dei  rimedi tradizionalmente associati all’inadempimento contrattuale spingendo in direzioni ben più efficaci dei primi.
Il nodo problematico è costituito dalla necessità di trovare nuovi strumenti per intervenire a tutela dell’equità sugli equilibri contrattuali
Gli sforzi interpretativi compiuti attualmente dalla dottrina in tale direzione, sono evidentemente la spia del bisogno di un ripensamento o cambiamento di rotta verso un nuovo modus operandi nei confronti dell’attività commerciale in un’economia complessa come quella attuale.
Un Sistema Giustizia che affronta le problematiche delle relazioni commerciali in maniera inefficiente, causa la perdita di risorse economiche che sono state investite in quel determinato rapporto, nonché lo spreco tutta quella ricchezza che la fine prematura del contratto  ha impedito di produrre.
La valutazione di adeguatezza dell’ordinamento giuridico sul piano dei rimedi contro l’esecuzione o l’inadempimento di contratti nati o divenuti iniqui influisce anche sulla valutazione  di efficacia e competitività dell’intero sistema paese nel tutelare gli investimenti.
A tal proposito va rammentato che nel rapporto Doing Business che viene presentato ogni anno dalla World Bank per misurare la capacità degli Stati di favorire lo sviluppo e la crescita delle imprese, nella parte dedicata al sistema legale, sono individuati i quattro indicatori che vengono valutati per valutare, da parte degli investitori, dov’è più conveniente sviluppare e fare impresa che sono: efficienza del sistema giudiziario e delle ADR, sistema di corporate governance, la tipologia e l’efficienza delle leggi a tutela del credito e le procedure di insolvenza e di riorganizzazione.
In un contesto relazionale come quello nato dai contratti commerciali di durata, porre rimedio all’inadempimento senza preoccuparsi di far emergere e superare le vere ragioni della crisi, equivale a curare i sintomi disinteressandosi delle cause che hanno condotto alla patologia del rapporto. La risoluzione erogata con sentenza rischia di compromettere in maniera irreversibile la qualità del rapporto.
Per le sue caratteristiche operative, il processo non è adatto alla gestione delle crisi relazionali che devono proseguire in futuro, perché si tratta il passato . Meglio arrivare ad una soluzione lavorando sul binomio problema/soluzione anziché ragione/torto, ponendo l’attenzione sulle nuove basi per la prosecuzione futura del rapporto, perché succede che nel corso della relazione originata da un contratto commerciale di durata incontri ostacoli che rischiano di comprometterne l’equilibrio. Ma a seconda delle ragioni che hanno provocato la crisi potrebbe permanere l’interesse a mantenere in vita il rapporto perché economicamente conveniente.
La crisi deve quindi essere affrontata con gli strumenti dell’autonomia negoziale, lasciando l’intervento con i rimedi processuali come ipotesi residuale in quanto le modalità tradizionali di affrontare le divergenze portano spesso ad un confronto/scontro improduttivo, in cui le relazioni che hanno ancora aspetti vitali e potenzialità non espresse vengono prematuramente chiuse a causa dell’incapacità, per motivi prevalentemente  culturali, di confrontarsi in maniera consapevole e costruttiva.
Preso atto delle difficoltà che hanno le parti, unitamente ai loro avvocati, hanno nel decidere di affrontare il conflitto e gestirlo in maniera competente, è importante disegnare strumenti che siano capaci di guidarle verso un costruttivo confronto negoziale. Con questi obiettivi, l’intervento legislativo che si propone prevede l’obbligo per le parti di riflettere sulle alternative al conflitto  e di confrontarsi sulle ragioni del disaccordo e sulle possibili soluzioni.
L’ipotesi che in questa sede si prospetta è quindi quella di una procedura negoziale formalizzata che si svolga alla presenza di un terzo imparziale che, adeguatamente formato sulle tecniche di comunicazione e gestione costruttiva del conflitto, faciliti e finalizzi la discussione fra le parti ed i loro consulenti.
Alla previsione futura di tale obbligo di un serio ed effettivo tentativo di mediazione, lo Stato appare legittimato da un interesse alla ricomposizione efficiente delle crisi contrattuali.
Tale interesse risiede innanzitutto nel bisogno di conservare ricchezza ed efficienza al mercato, in secondo luogo nel fatto che ricchezza ed efficienza per il sistema è creata anche da operatori economici che esercitano l’autonomia contrattuale in maniera proattiva e responsabile. L’interesse pubblico risiede poi , in terzo luogo, nella necessità di limitare l’attività processuale a quei conflitti che veramente non possono beneficiare di una soluzione negoziata, con risparmi di costi al sistema giudiziario e incentivare strumenti (come la mediazione) che limitino e assorbano la conflittualità sociale.
Il ruolo della mediazione oltre ad essere identificato come strumento alternativo al giudizio, possiede tuttavia un altro valore che consiste nel fornire un’opportunità per un percorso conoscitivo di analisi e comprensione del conflitto, allo scopo di arrivare alla scelta consapevole della soluzione migliore per soddisfare gli interessi delle parti.
La mediazione consente, inoltre, di mettere meglio a fuoco tutti i rischi e i costi reali del conflitto, siano essi monetari, o umani, relativi a relazioni personali o d’affari, o siano i costi per la perdita di opportunità di guadagno o di vantaggi di altro tipo che la cooperazione potrebbe portare con sé e che la rottura del rapporto potrebbe impedire o rendere più costosi.
Il cambiamento che si richiede alle imprese e a tutte le professionalità coinvolte nella gestione del rapporto e del contenzioso commerciale per affrontare in maniera efficace le crisi di cooperazione, è in primo luogo di tipo culturale: occorre che, con la coscienza della complessità non solo economica, ma anche relazionale, della realtà imprenditoriale, le imprese si preparino ad affrontare le loro controversie in maniera differente, cercando il confronto piuttosto che lo scontro.
L’utilizzo diffuso della mediazione per i problemi dei contratti commerciali ( ma l’uso può essere esteso a gran parte delle controversie che coinvolgano imprese) , significherebbe anche il raggiungimento di un altro traguardo importante nella cultura d’impresa: dimostrerebbe che gli operatori economici sono in grado di (ri)appropriarsi dell’autonomia negoziale, significherebbe che il potere e la libertà di decidere le sorti dei propri rapporti commerciali non sono più concetti vuoti che le imprese non sanno riempire sapendo immaginare soltanto la delega  al terzo giudicante per la soluzione dei problemi.

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