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10 DOMANDE A...

DOTT. MASSIMO MORICONI

Magistrato della Repubblica Italiana dal 1979, è oggi Consigliere di Cassazione dichiarato idoneo alle funzioni direttive superiori. Nell’anno 2000 ha assunto le funzioni di Consigliere Dirigente della sezione distaccata di Ostia del Tribunale di Roma. Svolge, oggi, mansioni di Giudice  presso la XIII sezione civile del Tribunale di Roma. In precedenza ha diretto la pretura di Bracciano, ha svolto, ancora presso Il Tribunale di Roma, funzioni di Giudice del lavoro, nonché  di Giudice presso diverse Sezioni Civili. Per molti anni ha svolto incarichi di coordinatore e relatore nei corsi organizzati dal CSM per la formazione degli uditori giudiziari e dei magistrati ordinari.

Da sempre attivo sostenitore delle ADR è stato uno dei primi ideatori  di un sito web nel quale pubblicare i provvedimenti più significativi della sezione da lui diretta (www.sezioneostia.tribunale.roma.it/). Dall'entrata in vigore del d.lgs. 28/10 ha manifestato massima attenzione all’Istituto della Mediazione Civile facendosi carico, quale Dirigente della Sezione di Ostia, della selezione, fra tutte le cause che venivano via via introdotte, di quelle da avviare a mediazione (vuoi sotto il profilo della mediazione delegata che di quella obbligatoria di cui all’art. 5 del d. lgs. 28/10)

Ha emesso numerosi, interessanti  provvedimenti in tema di mediazione, e si è impegnato attivamente, con pubblicazioni (ricordiamo qui “il Giudice e la Mediazione” del 2015) e diversi articoli per riviste specializzate,  organizzando e partecipando come relatore a seminari e incontri di studio per favorire la crescita e diffusione della cultura della mediazione. Fa oggi parte del Laboratorio permanente creato dalla nostra Associazione al fine di condividere esperienze e buone prassi e formulare delle proposte da sottoporre alle competenti autorità in sede sia legislativa che regolamentare.

A Lui abbiamo pensato di rivolgere alcune domande attraverso un’intervista che auspichiamo rappresenti la prima di una lunga serie di incontri con esperti italiani e internazionali della materia delle ADR, oggi più che mai all’attenzione degli Operatori del Diritto quale sistema di Giustizia alternativa, effettiva e partecipata idonea a risolvere non solo le contese fra privati ma anche importanti dispute sociali acuite ed esasperate dall’attuale situazione di crisi.

Dott. Moriconi, grazie, innanzitutto per aver accettato di rispondere alle nostre domande. La nostra è un’Associazione di cui fanno parte molti Avvocati e Organismi di Mediazione, molto attenti all’atteggiamento della Magistratura nei confronti delle ADR, secondo Lei, quanto è importante che la magistratura conosca le potenzialità della mediazione?

È fondamentale. Dopo un inizio altalenante (iniziale non coinvolgimento normativo dell’Avvocatura nella gestione della mediazione, sentenza della Corte Costituzionale del 2012, decreto del Fare del 2013), ormai sono svariati anni che il “peso” della mediazione nella risoluzione dei conflitti è ferma, sia pure ad un livello niente affatto insignificante (nel corso del 2019 la percentuale di mediazioni con aderente dopo il primo incontro è attestata intorno al 49,00% del totale delle domande e le mediazioni concluse con un accordo circa il 46%)  ) Tale situazione è comprovata dalle statistiche che il Ministero della Giustizia pubblica ogni sei mesi. Sono convinto che, salvi interventi legislativi (sulla cui appropriatezza e pertinenza rimane un grande punto interrogativo, vedi disegno di legge Bonafede sulla riforma della procedura civile e della mediazione), solo la piena e convinta presa di coscienza dell’importanza ed efficacia della mediazione da parte dei magistrati potrà spingere oltre la diffusione e utilizzazione dell’istituto in questione.

 

Dal Suo punto di vista i cittadini sono sufficientemente informati sui vantaggi della gestione partecipata dei conflitti? Secondo Lei la classe forense è sufficientemente preparata per la gestione efficace di questa forma alternativa di giustizia?

I cittadini sanno poco niente, come del resto è normale, atteso che le promesse governative di un’ampia pubblicizzazione di un istituto del tutto innovativo rispetto al tradizionale modo di affrontare le controversie, sono rimaste lettera morta.

 

Di quali strumenti dispone il Giudice e quanto è determinante il contributo del giudice per far comprendere che è necessaria la presenza personale delle parti in mediazione?

La domanda implica che il Giudice intenda utilizzare la mediazione, cosa che ancora non si può affermare in via generale. Per quei magistrati che hanno una visione innovativa della gestione dei conflitti, e che conoscono la mediazione, gli strumenti sono l’autorevolezza dell’ordine impartito ai sensi del secondo comma dell’art. 5 del decr. lgsl.28/2010 (mediazione demandata dal Giudice) e le sanzioni per l’inottemperanza. E’ evidente che il contributo positivo che può dare il Giudice per la diffusione della mediazione dipende in primo luogo da come è fatto il provvedimento che deve dimostrare che il magistrato ha studiato gli atti, e in secondo luogo dalla preparazione e professionalità del mediatore. Se mancano tali requisiti, subentrerà nelle parti fastidio e delusione, anche per il provvedimento del Giudice.

 

Spesso le parti di un giudizio, inviate dal Giudice in mediazione delegata, anche se si tratta di materia obbligatoria, tornando davanti al Tribunale comunicano il loro rifiuto ad iniziare la mediazione; pensa che l’applicazione delle sanzioni previste dal Legislatore rappresenti un deterrente adeguato per il mancato effettivo esperimento dell'incontro di mediazione, o ritiene che il Giudice dovrebbe poter disporre di ulteriori strumenti ?

Se per sanzioni previste dal Legislatore si intendono quelle specifiche di cui all’art. 5 commi 1 bis e 2 e all’art. 8 co.quattro bis del Decreto, rispondo che solo quella prevista per il titolare della domanda (art.5 ,commi 1 bis e 2) è efficace (in quanto comportante per chi non ottempera ovvero, anche, secondo taluna interpretazione, per chi non ottempera correttamente, l’improcedibilità della domanda); al di fuori di questo, per la mancata partecipazione l’art. 116 cpc (argomenti di prova) è norma debole, il contributo unificato non viene riscosso dalle cancellerie troppo affannate e comunque è inefficace in quanto troppo esiguo per i poteri forti che non vogliono partecipare. Se per sanzioni previste dal Legislatore si intende (anche) qualunque sanzione legalmente data dal Giudice in forza delle norme vigenti e applicabili, non vi è dubbio alcuno che la norma esiste ed è l’art.96 co.III° cpc, come sempre più magistrati ritengono, applicandola ai casi più gravi di renitenza.

 

Ritiene che accanto alla Mediazione civile possano coesistere altre forme di ADR collegate al processo e se sì quali?

Non esistono altre forme di ADR/ASR.

L’arbitrato esiste da sempre , è istituto non accessibile per chiunque a causa dei costi elevati, e lo stato della giustizia civile testimonia che non ha avuto e non ha alcun impatto significativo nella gestione dei conflitti.

Quanto alla negoziazione assistita è stata un fallimento annunciato, e andrebbe riservata ai soli settori delle crisi coniugali come è allo stato  Non prevede l’intervento e il contributo di un terzo imparziale. La conciliazione affidata agli avvocati è sempre esistita e non pare che abbia contribuito grande al funzionamento ottimale della giustizia civile. Non saranno alcune norme di favore (esecutorietà dell’accordo etc.) a migliorarne gli esiti, perché il nucleo dell’accordo consiste pur sempre nel bilanciamento degli opposti interessi, con necessarie rinunce reciproche. Per tale funzione occorre il contributo di un soggetto terzo rispetto agli avvocati delle parti.

L’Arbitro Bancario Finanziario funziona, ma è di nicchia.

Non c’è altro.

 

Quale spazio ritiene possano trovare in una prospettiva di riforma della Giustizia Civile la Mediazione e le altre forme di ADR?

Solo la Mediazione grande spazio, con poche e specifiche norme integrative del decreto legislativo 28/2010, note a chi conosce la mediazione, ancora ignote evidentemente a Governi e Legislatori.

 

Riterrebbe utile recuperare all’obbligatorietà del tentativo di mediazione alcune particolari materie, ad esempio la materia del lavoro subordinato?

Certo che sì, ma solo in astratto. La materia del lavoro è un campo fertilissimo per la mediazione poiché per lo più si tratta di obbligazioni pecuniarie, di ovvia grande conciliabilità. Ma il percorso è sbarrato. C’è l’art. 2113 cc e i tabù nostrani sono durissimi a morire.

 

Quali altre materie o ambiti ritiene utile che formino oggetto di Mediazione o di altre forme di ADR?

Come ho detto non vedo altre forme di ADR.

Per la mediazione è semplice, basterebbe riscrivere la norma dell’art. 3 D.L. 132/2014  - che prevede “chi intende proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro” - sostituendo alla negoziazione assistita la mediazione

 

Allorquando si trovano coinvolti in un procedimento di mediazione, molti grandi enti, sia privati che pubblici, disertano gli incontri se non dichiarano apertamente che la partecipazione alla mediazione non rientra nella “policy” aziendale, pensa che ciò avvenga a causa di un’eccessiva parcellizzazione di incarichi e responsabilità, e con la finalità del rappresentante “di turno” di non assumere in nome dell’ente responsabilità che poi potrebbero riverberare sulla sua persona?

C’è un mix di ragioni.

In primo luogo la storica e intatta deresponsabilizzazione della burocrazia italiana. La burocrazia non significa solo Ministeri e Enti Pubblici. Ogni Ente che assume dimensioni e poteri notevoli (vedi banche, gestori di servizi di ogni genere, assicurazioni…) assorbe il peggio delle cattive abitudini della burocrazia.

Si parla sempre di cambiare i difetti della burocrazia. Pare che chi dovrebbe farlo non sappia come fare, e in effetti è una impresa veramente ardua.

Affrontarla direttamente è impossibile. I burocrati di ogni genere e qualifica detengono strettamente il loro sapere e sono di fatto indispensabili.

Per il settore pubblico, il peccato originale non sta nell’art. 28 della Costituzione, che anzi è assai ben scritto.

Il vizio sta nel T.U. degli impiegati dello Stato che poi è stato esteso per ogni dove, fino a creare una vera immunità che autorizza qualsiasi cialtroneria da parte dei dipendenti pubblici.

Se posso scegliere se fare causa all’ente o al funzionario che mi hanno danneggiato, e se quest’ultimo risponde solo per colpa grave, è ovvio che non lo cito in giudizio.

Per questo occorre che il Giudice applichi l’art. 96 cpc. Questo evoca la responsabilità erariale del funzionario ignavo, neghittoso, deresponsabilizzato.

In secondo luogo, occorre anche considerare che vi sono tante persone per bene, titolari del diritto di conciliare, sia negli enti pubblici che privati.

Occorre proteggere queste persone.

La norma già esiste e anche qui Governi e Legislatori  Dovrebbero tenerne conto.

L’art. 410 ultimo comma  cpc prevede che la conciliazione della lite da parte di chi rappresenta la P.A. anche in sede giudiziale…non può dare luogo a responsabilità, salvi i casi di dolo o colpa grave .

Basterebbe estendere alla mediazione questa norma. Non vi sarebbero più scusanti per non transigere o conciliare.

Sulla base della nuova disciplina il giudice può sollecitare le parti ad adottare sistemi di comunicazione a distanza per svolgere gli incontri, valorizzando  tali potenzialità al fine di evitare anche eventuali ritardi determinati da rinvii richiesti per il timore di esporsi con la presenza personale a situazioni rischiose per la salute; qual è la sua opinione sulle On line Dispute resolution?

Non sono un mediatore, in ambito giudiziale sostengo l’importanza della partecipazione personale della parte al procedimento di mediazione. Temo che la mediazione a distanza non soddisfi pienamente tale esigenza, schiacci la parte sulla gestione anche materiale del procedimento telematico di mediazione da parte dell’avvocato, però può servire in questa limitata contingenza.

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