10 DOMANDE A...
DOTT. FABRIZIO GANDINI
Nato a Novara il 29 settembre 1969, laureato con lode alla Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, è magistrato dal 1996. Vive a lavora a Roma.
Dal 1997 fino al 2003 è giudice presso il Tribunale di Roma, occupandosi sia di diritto civile (e fallimentare) che di diritto penale.
Dal 2003 al 2005 è magistrato distrettuale giudicante presso la Corte d’appello di Napoli, prestando servizio presso la Corte d’appello penale, il Tribunale di Nola ed il Tribunale di Torre Annunziata.
Dal 2005 al 2010 è addetto all’ufficio rapporti internazionali del Ministero della giustizia, e si occupa in particolare degli strumenti internazionali multilaterali in materia di lotta alla corruzione (ONU, UE, Consiglio d’Europa, OCSE).
Dal 2010 al 2017 è giudice della sezione lavoro del Tribunale di Roma.
Dal 2017 in poi è giudice della Undicesima sezione civile del Tribunale di Roma, e si occupa in particolare di contratti di prestazione di servizi.
E’ autore di note ed articoli su vari riviste giuridiche in materia di diritto internazionale (Il foro italiano, Rivista 231, Diritto e giustizia) ed è autore di tre monografie giuridiche in materia di protezione civile, e di diritto internazionale (Giuffrè editore).
Grazie, anzitutto Dr. Gandini per aver accettato la nostra intervista: per nessuno è in questo momento facile attendere alle proprie normali occupazioni e dedicare del tempo ad occupazioni diverse, pur attinenti allo sviluppo culturale del nostro settore, appare sempre più arduo, grazie, quindi, per averci dedicato il Suo tempo e la Sua attenzione:
1. La drammatica situazione di crisi economica conseguita all’emergenza sanitaria, ha da un lato rallentato il corso della Giustizia Civile, dall’altro incrementato le controversie di carattere economico fra imprese, enti e privati: ritiene che il ricorso al processo telematico e l’abbandono della trattazione orale siano di per sé soli strumenti efficaci per decongestionare la giustizia civile?
Le modalità “alternative” di celebrazione della udienza introdotte dal D.l. 83/2020 (trattazione scritta ed udienza da remoto) non sono da sole sufficienti a decongestionare la giustizia civile.
A tacer d’altro la loro finalità non è quella di perseguire una maggiore efficienza nella trattazione del procedimento, ma quella di consentire la prosecuzione delle udienze anche in periodo di epidemia.
Ritengo però che un loro impiego consapevole e meditato possa contribuire a migliorare il servizio giustizia.
Mi riferisco, in particolare, all’utilizzo della udienza da remoto per il compimento di attività processuali a bassa intensità, che non richiedono un contraddittorio puntuale ed intenso, un dialogo vero ed effettivo tra il giudice e le parti: precisazione delle conclusioni, richiesta di ammissione delle prove dedotte, giuramento del CTU (purchè il quesito sia già stato formulato prima della udienza) etc…
Le altre attività processuali, ed in particolare la prima udienza di comparizione delle parti, dovrebbero invece essere svolte in presenza e, solo qualora la necessità lo imponga, da remoto.
Non condivido invece l’opzione legislativa, ed anzi il favor, per la trattazione scritta. Prima udienza di comparizione a trattazione scritta mi sembra un ossimoro, la negazione del contraddittorio.
Personalmente sono favorevole, e concretamente applico, una trattazione ibrida, con udienze fatte tra presenti che si alternano ad udienze da remoto.
2. L’inefficienza della giustizia civile compromette la corretta tutela e l’attuazione dei diritti, e rende poco attrattivi gli investimenti nel nostro paese: quali modifiche del rito civile riterrebbe opportune per velocizzare e se possibile uniformare il processo?
In questi anni mi è capitato di trattare procedimenti secondo una pluralità di riti diversi. Ho avuto pertanto modo di valutarne in concreto pregi e difetti.
Sulla base della mia esperienza il rito più agile, più flessibile e che al tempo stesso più si presta ad un effettivo accertamento dei fatti è il rito lavoro.
Invertendo le attuali scelte del codice di rito, si potrebbe prevedere il rito lavoro come rito ordinario, di default, fatta salva la possibilità di passare ad un rito diverso e più formale qualora la controversia lo richieda, come prevede (seppure al contrario) l’art.183 bis c.p.c.
In questa prospettiva bisogna poi ridurre la proliferazione dei riti speciali. Nella mia sezione applico quattro riti diversi: ordinario; sommario codicistico (art.702 bis c.p.c.); sommario extracodicistico monocratico (art.15 d.lgs. 150/2011); sommario extracodicistico collegiale (art.14 d.lgs. 150/2011).
La presenza di più riti speciali, aventi campi di applicazione a volte sovrapponibili, determina confusione e dispersione di energie, visto che forma oggetto di discussione anche la decisione del rito applicabile avuto riguardo alla causa petendi dedotta in giudizio. Dunque riduzione dei riti a due: ordinario e speciale.
Infine sarebbe opportuna l’abolizione della introduzione del giudizio a mezzo di atto di citazione, da sostituirsi con il ricorso.
Nel processo introdotto da ricorso è infatti il giudice a dovere necessariamente stabilire giorno ed ora della udienza. Tale scelta presuppone una gestione ordinata del ruolo e dei giorni di udienza, laddove il processo introdotto a mezzo di citazione –nel caso in cui l’udienza non venga differita ex art.168 bis c.p.c.- porta nella prassi a giorni di udienza fitti di procedimenti alternati (e dunque ingestibili) a giorni di udienza sostanzialmente vuoti.
3. In un’ottica di efficientamento del sistema giustizia, quale peso ritiene abbiano avuto e possano in futuro avere le forme di ADR già normate quali la mediazione e la negoziazione assistita da Avvocati?
Le materie oggetto della Undicesima sezione civile sono soggette a negoziazione assistita, e non mediazione.
Nella mia esperienza quotidiana la negoziazione assistita viene vissuta come una sostanziale perdita di tempo, come un accidente inevitabile, esperito solo perché la legge lo impone. Forse dovrebbe essere fatta una riflessione più ampia sulla opportunità di mantenere questa condizione di procedibilità.
Questa riflessione, ovviamente, non dovrebbe essere fondata su valutazioni a priori od ideologiche. Sarebbe opportuna una indagine conoscitiva, al fine di valutare l’efficacia in concreto di questo strumento, ossia la percentuale di procedimenti definiti in sede di negoziazione assistita.
4. In una recente nostra intervista un Suo Collega ha dichiarato la propria opinione in merito alla maggiore efficacia della mediazione civile e commerciale rispetto alla negoziazione assistita, affermando che sarebbe opportuna una riscrittura della norma dell’art. 3 D.L. 132/2014 che sostituisca alla negoziazione assistita la mediazione per “chi intenda proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro” , lei è d’accordo con questa affermazione?
Sono d’accordo. In parte per le ragioni sopra già indicate (risposta 3), in parte perché la mediazione –a differenza della negoziazione- si caratterizza proprio per la presenza di un soggetto terzo.
5. La sezione del Tribunale civile di Roma presso la quale Lei svolge attualmente le Sue funzioni vede impegnata una gran parte della propria attività da giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo. Per un recupero crediti per somme inferiori ad €50.000, in materia diversa da quella coperta da mediazione obbligatoria, la legge stabilisce che l’obbligo della negoziazione non si applica nei procedimenti per ingiunzione «inclusa l’opposizione»; per la mediazione obbligatoria, viceversa l’obbligo di mediazione per il caso di opposizione è previsto e si è rafforzato con la sentenza SS.UU. 19596/2020. Quale, secondo lei la ragione di questa disparità di trattamento?
Credo che la ragione sia costituita proprio dalla radicale diversità ontologica tra i due strumenti. Solo la mediazione si caratterizza per la gestione del procedimento da parte di un soggetto terzo e imparziale. Mi sembra pertanto che la tutela rafforzata della mediazione, anche in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, trovi una ragionevole giustificazione nelle diverse caratteristiche strutturali dei due subprocedimenti.
6. Ritiene che la mancata previsione di una sostanziale obbligatorietà della negoziazione assistita per le opposizioni a decreto ingiuntivo per un valore inferiore a €50.000 gravi le sezioni che hanno competenza tabellare sulla materia di un lavoro che potrebbe facilmente essere ridotto?
Come ho già detto, ho qualche dubbio sulla opportunità di mantenere l’obbligatorio esperimento di questa condizione di procedibilità. Valgono le considerazioni che ho già svolto.
7. La Relazione dell’ Osservatorio di Roma resa in occasione della XIII Assemblea Nazionale Degli Osservatori Sulla Giustizia Civile, reca la Sua firma quale Coordinatore ed ha una rubrica suggestiva: “prevedibilità, predittività e umanità del giudicare” , la relazione include un passaggio significativo sulla mediazione civile, a quale delle tre categorie in rubrica ritiene appartengano le soluzioni delle controversie alternative alla giurisdizione?
A stretto rigore a nessuna di queste categorie. In questo caso è vera la domanda, ossia la rubrica è suggestiva. Credo però che la mediazione civile potrebbe avere un qualche legame con la prevedibilità delle decisioni. Se la proposta del mediatore è fondata sui consolidati principi giuridici della giurisprudenza di legittimità; se è fondata sulla giurisprudenza di merito del Tribunale competente, è difficile non vedere un nesso con la prevedibilità delle decisioni. E’ inutile andare davanti al giudice per ottenere la stessa tutela prospettata dal mediatore. Del resto, questo è il senso e l’esperienza della mediazione demandata dal giudice.
8. Lei ha svolto funzioni di Giudice del Lavoro, ritiene che la modifica dell’ art.410 c.p.c. ad opera della Legge 4 novembre 2010, n. 183, per cui chi intende proporre un'azione in giudizio non è più obbligato a promuovere un previo tentativo di conciliazione, abbia influito sulla mole e sugli esiti delle controversie di lavoro?
Condivido la modifica normativa. Vista la particolarità degli interessi in gioco, e la scarsa efficienza dello strumento deflattivo divisato, è importante per le parti che la controversi sia portata il più presto possibile davanti al giudice.
9. Il legislatore, forse in modo non del tutto coerente, dopo aver introdotto per ben due volte la mediazione civile e cancellato il tentativo di conciliazione obbligatorio presso le DPL, sembra essersi accorto dell’importante funzione del giudice in sede transattiva, riattribuendogli i vecchi poteri/doveri che aveva prima del 2006. Il nuovo art. 185bis, sposta addirittura cronologicamente in avanti, rispetto all’art.420 c.p.c., la possibilità di formulazione della proposta conciliativa del giudice: quando, come e in quali casi ritiene opportuna e utile una simile attività dell’Organo Giudicante?
credo che una proposta conciliativa non possa e non debba essere formulata oltre la prima udienza di comparizione delle parti. La proposta conciliativa non è e non deve essere percepita come una sentenza, come una valutazione del merito della controversia.
Piuttosto, ed avuto riguardo alla mia esperienza, la proposta deve presentarsi più semplicemente come una valutazione prima facie del rapporto costo/benefici per le parti. In buona sostanza si può pervenire ad una proposta quantificata alla luce di considerazioni generali sulla ripartizione dell’onere della prova tra le parti, avuto riguardo alle domande ed eccezioni proposte; e sul tipo di prova che ragionevolmente dovrà essere fornita dalla parte onerata.
Queste considerazioni, in uno con il regime delle spese di lite ragionevolmente prevedibili, possono consentire alle parti di fare delle valutazioni sulla effettiva convenienza della prosecuzione del procedimento.
Ovviamente queste considerazioni non possono più essere svolte una volta che la trattazione sia iniziata, e dunque oltre la prima udienza di trattazione. Eventuali improvvide considerazioni del giudice sulla eventuale sufficienza delle prove già acquisite al procedimento ben potrebbero legittimare la parte “favorita” alla presentazione di una istanza ex art.186 quater c.p.c..
10. Ritiene realisticamente applicabile la norma di cui all’art.8 comma 4bis del Decreto 28 in base alla quale “Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell'articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile”?
Lo credo molto difficile, poichè salvo casi limite è radicata la convinzione che una statuizione su diritti debba essere fondata sui fatti accertati, e non sul comportamento processuale delle parti. Occorre inoltre riflettere che nel nostro ordinamento processuale la contumacia non equivale a mancata contestazione dei fatti. E’ vero che la mediazione è obbligatoria, mentre la costituzione in giudizio non lo è, ma comunque rimane qualche perplessità sul nesso tra comportamento (pre)processuale e pronuncia nel merito.
Diversa è la questione del ruolo di tale fatto (negativo) nella liquidazione delle spese di lite.
In questa prospettiva credo che debba essere valorizzato anche il dovere di lealtà e probità delle parti, come previsto dall’art.88 co.1 c.p.c..
La conversazione con il Dr. Gandini ci ha regalato molti altri spunti, per questa "puntata" ci concediamo una undicesima domanda!
11. Riguardo alla ingiustificata mancata partecipazione alla mediazione di una delle parti, sia essa obbligatoria, demandata o contrattuale ovvero alla mancata accettazione della proposta del mediatore, o del giudice ritiene applicabile l’art.96 c.p.c.?
Per quanto mi riguardo applico l’art.96 co.3 c.p.c. quando accerto che la domanda giudiziale è stata proposta per finalità diverse dalla tutela dei diritti, come previsto dall’art.24 co.1 Cost.
Ad esempio quando la domanda (opposizione a decreto ingiuntivo) è stata proposta per finalità dilatorie o emulative (proposizione di domande riconvenzionali). Ogni altro comportamento, compresa la violazione di doveri di lealtà e probità, è invece valutabile al fine della liquidazione delle spese di lite.