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10 DOMANDE A...

AVV. CRISTINA ARDITI DI CASTELTEVERE

Nata a Roma il 12 settembre 1964, è iscritta alla Albo degli Avvocati di Roma dal 1996 ed in quello speciale degli Avvocati Cassazionisti dal 2009. 
È stata Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Roma, nei bienni 2008/2009 e 2010/2011, con delega per il coordinamento di Commissioni di Studio: Commissione Famiglia e Minori, Commissione Pari Opportunità, Commissione Cultura e Sport, Commissione Albo Speciale, Commissione Difensore Civico. 
E’ stata componente del Direttivo Nazionale dell’Aiaf (Associazione Italiana Avvocati per la Famiglia), con la carica di probiviro, anni 2010/2011/2012. 
E’ componente del Civosservatorio per la Famiglia presso il Tribunale di Roma, socio fondatore del Family Law Consortium.
Ha maturato particolare esperienza nel settore dei diritti della persona, della famiglia e delle successioni, maturando altresì significativa competenza nella soluzione degli aspetti fiscali, patrimoniali e societari connessi. Nella sua esperienza professionale il diritto dei minorenni, gli aspetti e i problemi connessi alla filiazione sono trattate con particolare attenzione. Altro aspetto significativo e più recente è stata l’acquisizione di competenze per la redazione dei contrattti di convivenza delle coppie di fatto, così come la costituzione di trust e del patto di famiglia. 
 E’ mediatore professionale, ed ha collaborato in tal senso presso l’Istituto di studi giuridici Arturo Carlo Jemolo e presso altri Organismi di mediazione. E’ formatore pratico per i corsi di mediatore civile. Ha curato, quale responsabile e docente il corso di specializzazione “La Giurisdizione nel sistema Famiglia” 82011/2012 Ist. A.C. Jemolo). E’ componente del Comitato Scientifico della rivista “Studia Juridica”.
Sensibile ai problemi sociali e studiosa della legislazione sociale, dal 1996 è abilitata per la iscrizione nelle liste dei difensori di Ufficio presso il Tribunale per i Minorenni, avendo conseguito idoneo titolo per aver frequentato il corso tenuto dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma. 
Nel Settembre 2017 è stata eletta nuovamente quale Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Roma. 
Nell’Aprile 2019 è stata eletta componente Comitato Pari Opportunità Ordine Avvocati di Roma. 
Attualmente è socia A.M.I. Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani, componente Direttivo Distretto Lazio e Responsabile per la Formazione.

1.  Il discusso  Ddl 735/2018, più noto come Ddl Pillon fa riferimento all’obbligo di ricorrere alla mediazione familiare. Il concetto di “mediazione obbligatoria” non è certo nuovo nel mondo del contenzioso civile. Ritiene che nella mediazione familiare potrebbe funzionare?

Parto da una premessa: l’Avvocato familiarista  –almeno nella generalità dei casi- di per sé tenta sempre di trovare una soluzione consensuale.  Questo avviene, sicuramente, tra Colleghi che –nella materia- abbiano, comunque, una specifica preparazione (il che, a mio parere, vuol dire avere una visione contestuale della intera vicenda, e non fermarsi solo al voler ottenere la vittoria a tutti i costi): riuscire a negoziare una definizione che abbia –quindi-  l’intento di evitare un contenzioso tra i peggiori in termini di emotività e di sofferenza, credo sia il principale compito di ogni Professionista. Per rispondere, brevemente, alla domanda (il discorso richiederebbe un intero capitolo), direi che più che obbligare le parti alla mediazione familiare, sia più opportuno che l’Avvocato che riceve mandato per una causa di famiglia non sia un “improvvisato” della materia, e che –soprattutto- abbia quella indipendenza professionale che consenta di consigliare il Cliente che la “Guerra dei Roses” non conviene.

 

2. Nell’articolato del DdL 735 compare il riferimento alla figura del coordinatore genitoriale per le separazioni altamente conflittuali. Cosa pensa dell’introduzione di questa nuova professione e che tipo di formazione ritiene debbano avere questi nuovi professionisti?

Sono sempre favorevole a novità che potrebbero rivelarsi utili per il nostro settore. Il coordinatore genitoriale, potrebbe –appunto- essere un utile supporto per la tutela dei figli minori, e per dare ai genitori la giusta lucidità per la gestione della prole, e favorire la cooperazione tra gli stessi. Compito che non è affatto facile, quando –ad esempio- il conflitto sui figli ha “origini” che poco hanno a che fare con la “capacità genitoriale”, ma riguarda presupposti di affermazione dell’uno verso l’altro. In tal senso, è chiaro che la formazione dovrà essere multidisciplinare, minuziosa, e specifica, dovendosi fare molta attenzione anche alle attitudini individuali del “formando”: non tutti, ritengo, sono in grado di sostenere tale funzione.

 

3. Secondo il rapporto AiMeF Lazio 2018/2019 il principale canale di avvio alla mediazione familiare è quello degli avvocati, proprio la categoria tradizionalmente vista come avversa alla mediazione. Conferma questo dato sulla base della Sua esperienza?

Si, confermo. Difficilmente le parti –autonomamente- pensano di rivolgersi alla mediazione familiare: il più delle volte, semmai, provano con la “terapia di coppia” (che è cosa diversa, ovviamente). Senza il consiglio dell’Avvocato (così come senza le necessarie informazioni sulla natura dell’istituto, sugli obiettivi che intende raggiungere, ed anche –perché no?- sulla autorevolezza di questo o quel Centro)  raramente approdano ad una idea del genere. Almeno, questo ho potuto constatare.

4. La presenza di "diritti indisponibili" nel procedimento civile non esclude la co-presenza di diritti del tutto disponibili e, quindi, negoziabili. Ritiene sia auspicabile e possibile un ricorso alla mediazione demandata dal Giudice per le domande che nella litigation familiare riguardano questo tipo di diritti?

Domanda interessante. Mi piace, perché apre molte prospettive: però, ci vorrebbe il Tribunale della Famiglia! Quello che sogno io, è composto da Funzionari altamente specializzati e non assegnati per “caso”. Anche qui: credo che la capacità di contestualizzazione sia necessaria. Tuttavia, il Giudice della separazione (o divorzio)  dispone solo per mantenimento, assegnazione casa coniugale, affidamento e modalità di frequentazione figli: il nostro sistema attuale, pertanto, non mi pare possa consentire di demandare su circostanze che o si risolvono di per sé fuori dal conflitto giudiziale, o –semmai vengono portate in Tribunale- sono già state risolte con un ricorso per consensuale …

5. Ritiene che all’interno di un procedimento di separazione o divorzio le diverse forme di mediazione familiare e civile possano coesistere, debbano rappresentare un unicum, o essere ritenute distinte e alternative?

Potrebbero sicuramente coesistere. Ma, anche qui, le questioni devono essere trattate contestualmente pur se riguardano circostanze distinte.

 

6. Ritiene che l’introduzione dell’art 6 del del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 poi convertito dalla legge 162, abbia portato un cambiamento significativo nella gestione delle controversie familiari?

Posso dire che la Negoziazione Assistita è sicuramente un modello per cooperare in buona fede. Posso dire anche che, per quanto mi riguarda, la ritualità del Tribunale (separazione consensuale)  e l’impatto psicologico che i coniugi provano nel trovarsi al cospetto del Presidente che legge loro le condizioni, abbia un effetto di maggiore consapevolezza per coloro che pongono fine alla loro unione. Discorso lungo, per una come me che crede fermamente nel Matrimonio (… nonostante tutto). Posso dire –però-  che in questo dannato 2020,  nel quale siamo stati travolti da “protocolli”, da “trattazioni scritte” anche per le presidenziali di separazione giudiziale, da “escussioni testi” tenute da “GOP”, da ritardi e ritardi e ritardi nelle fissazioni di udienza, la scelta di procedere per Negoziazione Assistita (in alternativa al ricorso per separazione consensuale, o divorzio congiunto) è aumentata. Sino al 2019, per quel che ho potuto constatare, l’incidenza della nuova regolamentazione ha alleggerito il carico dei Tribunali in misura inferiore al 10%.

7. Mediazione familiare e unioni civili di cui alla LEGGE 20 maggio 2016, n. 76; ritiene che chi debba svolgere mediazione familiare nei nuovi contesti debba seguire un percorso formativo particolare?

No, assolutamente. Se così fosse, verrebbe meno ogni presupposto per la tutela dei diritti civili.

 

8. A partire dagli albori del Centro Gea di Milano (oggi Irene Bernardini) del 1989, il servizio di mediazione familiare non è stato uniformemente inteso ed in alcuni casi è stato addirittura osteggiato dalle diverse professionalità – avvocati, psicoterapeuti, assistenti sociali – chiamate a far parte del processo. Ritiene che un intervento legislativo potrebbe favorire uno sviluppo dell’istituto anche in senso conservativo dei vincoli e rapporti familiari?

Mi si conceda una battuta: non si può insegnare ad uno stupido, ad essere intelligente!  Mi spiego.

La Mediazione Familiare ha propri presupposti, propri obiettivi, proprie caratteristiche: perché osteggiarla? Non credo che cambierebbe nulla per il “mondo conflittuale”, né –tanto meno- porterebbe via “lavoro”. E’ sempre il solito discorso: il Professionista, è tale se riesce a trovare la giusta definizione e/o soluzione per il proprio Cliente. Non sempre portare avanti un contenzioso conviene: anche per noi Avvocati. E’ una questione di deontologia, di etica, di buon senso. Accanirsi nel conflitto (o –addirittura-  fomentarlo, come ahimè spesso fanno taluni colleghi), talvolta è addirittura deleterio. Per questo non mi sono mai posta il problema. Una Legge? Forse. Ma “mediare” è una questione di intelligenza, credo: c’è gente che vuole litigare per forza, e –in quel caso- non c’è mediazione che tenga. Non credo, quindi, che un intervento legislativo possa risolvere: servirebbe un cambio culturale. Ma anche questo, è un discorso lungo …

9. La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, altrimenti nota come Convenzione di Istanbul, tra l’altro, prevede l’adozione delle necessarie misure legislative, o di altro tipo, per«vietare il ricorso obbligatorio a procedimenti di soluzione alternativa delle controversie, incluse la mediazione e la conciliazione, in relazione a tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione». Perché, secondo Lei,  nella Convenzione di Istanbul si vieta la mediazione familiare nei casi di violenza??

La violenza sulle donne è la più aberrante violazione dei diritti umani. Oltre alle altre cause che possiamo definire patologiche, il fenomeno è –evidentemente- frutto di alcuni stereotipi che risultano difficili da superare, e che vedono (hanno visto per secoli) la donna in una posizione inferiore rispetto all’uomo, siccome negatele  determinate qualità, ovvero negatile alcuni diritti, sino all’averne negato –talvolta- anche  libertà.

Si tratta di posizioni non livellate, dove –per anni- l’una è rimasta vittima dell’altro: la mediazione familiare, credo, possa essere “strumentalizzata” dal partner violento, il quale potrebbe –per la ennesima volta- con ciò evitare di mettersi in discussione, o sotto giudizio. Quando un uomo picchia una donna (quando poco prima affermava di” amarla”, e poco dopo averla picchiata ribadisce il suo “amore” per lei), ritengo non abbia la giusta predisposizione per rispettare eventuali accordi presi.

10. Ampliando il campo di indagine rispetto al più ristretto ambito del Diritto di Famiglia: Quale ruolo ritiene possano avere, in generale, la mediazione e le altre forme di ADR nella soluzione dei problemi endemici della Giustizia Civile?

Ho sempre ritenuto che la grande enfasi che alcuni governanti diedero alla Mediazione, fosse –in realtà- più indirizzata a non affrontare i problemi della Giustizia, che non –effettivamente- ad esaltare l’Istituto. Il “piano” era quello di “disincentivare” il contenzioso: il che voleva dire non “aumentare il lavoro” dei Tribunali, non assumere personale per anni, non aumentare il numero dei Magistrati. La domanda mi imbarazza, perché –pur credendo fermamente nella Mediazione civile, tanto che io stessa sono Mediatore- sono tentata nel dire cose che potrebbero apparire impopolari. Mi limito a dire che ritengo che l’unico modo per risolvere una divisione ereditaria, sia quello stragiudiziale (quindi, con un bravo Mediatore che riesca a far capire che infilarsi in una causa che può durare decenni, non conviene a nessuno): quindi, in tal senso, la renderei ancor più obbligatoria. Così come per le questioni condominiali. Vi sono altre materie per le quali la obbligatorietà della Mediazione si risolve nella mera istanza che serve come presupposto per la azione. I problemi della nostra Giustizia Civile devono risolversi con altri tipi di intervento: ad esempio, evitare le nomine nei Ministeri per i Magistrati; così come far sì che gli stessi tengano udienza tutti i giorni, e non solo una (al massimo due) volte a settimana; far sì che le riserve vengano sciolte in non più di tre giorni, o che le sentenze debbano essere emesse non più tardi di trenta giorni dalle depositate repliche; e –ancora- imporre termini perentori anche per i Giudici, e non solo per noi Avvocati … La Mediazione è una grande risorsa: ma non per risolvere i problemi della Giustizia. Piuttosto, semmai, per far sì che i cittadini continuino (o ritornino a) credere nella tutela dei diritti: in ciò, condotti da Avvocati e Professionisti che amino il proprio lavoro. Che, per quanto mi riguarda, rimane sempre il più bello del mondo!

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